Le valli della Laguna di Venezia: da pubblico demanio a privato dominio? - 2004

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Il contenzioso sulla demanialità delle valli da pesca della Laguna di Venezia è secolare: una questione delicatissima con cui dovette fare i conti.Anche la Serenissima, in un susseguirsi di provvedimenti che tentarono di mantenere le valli interne allo specchio lagunare libere al flusso di marea e, al contempo, dare risposte concrete alle numerose e pressanti richieste dei pescatori di poter “coltivare” pesce. L’agire della Repubblica Veneta è sempre stato prioritariamente orientato al mantenimento degli equilibri idraulici e ambientali delle lagune, le varie Magistrature erano, infatti, perfettamente consapevoli che la sopravvivenza della città era direttamente collegata a questi fragili equilibri.
I disastri cominciarono dopo il trattato di Campoformido, 26 dicembre 1805, quando, governati dagli Austriaci, in barba al luogo comune della buona amministrazione asburgica, cominciarono a fioccare ordinanze, decreti e norme in palese contraddizione gli uni con le altre.
Già Napoleone, nel 1806, aveva spianato la strada alla confusione dei ruoli e dei titoli, accentrando a Milano il governo della Laguna e consegnandolo a funzionari che di essa avevano un’idea vaga. Iniziava così ad instaurarsi un clima d’incertezza giuridica alimentato da atti unilaterali con cui la tutela della demanialità fu progressivamente indebolita. Il resto della contesa, fino ai giorni nostri, risente ancora di questa giurisprudenza da occupazione in cui gli equilibri lagunari e gli interessi locali finirono sempre più spesso col diventare eccezioni anziché la regola, mentre si moltiplicavano le occupazioni abusive con arginature fisse, i divieti impropri al vagantivo, con l’effetto diretto di una progressiva moltiplicazione della privatizzazioni di specchi d’acqua lagunari e la loro esclusione dal moto naturale delle
maree.
Il risultato ovvio fu una riduzione della salubrità originaria della Laguna a seguito di una forte contrazione della superficie interessata dal ricambio delle maree e l’esclusione sistematica delle attività di pesca locali, riservando invece questi spazi privatizzati al fruttuoso commercio della caccia in botte, più recentemente, all’itticoltura e, all’inizio del secolo scorso, in alcune aree, persino alla bonifica idraulica e alla destinazione produttiva agricola dei terreni di risulta.
Il contenzioso fra enti pubblici locali e i titolari di questi “diritti” consolidati attraverso le maglie di una legislazione che conservava notevoli margini di ambiguità, è un’eredità che pesa nella faticosa riconquista per ripristinare regole e diritti soprattutto in ragione della preoccupazione di farrespirare naturalmente la Laguna e restituirla interamente ad una gestione pubblica ispirata da principi di tutela attiva e di valorizzazione.
La Provincia di Venezia è sempre stata in prima linea, in questa fase moderna del contenzioso, per riaffermare il principio della demanialità e contribuire a delimitare il fenomeno della privatizzazione, contribuendo non poco nella ricostruzione della storia tortuosa della giurisprudenza finora maturata sull’argomento e per motivarne le opportune correzioni. Questa pubblicazione che del fenomeno illumina una parte specifica - una cronaca locale, come si direbbe - l’area di Valle Averto e degli specchi lagunari contermini, è la testimonianza diretta di come le popolazioni rivierasche hanno vissuto e vivono la progressiva occupazione degli spazi lagunari, la ricostruzione puntuale di soprusi, ingiustizie, collusioni e corruzioni, l’altalenarsi di provvedimenti e norme confuse, inapplicabili. Insomma, il singolare (purtroppo non infrequente) percorso per cui l’ordine delle carte bollate finisce con l’imporsi su quello del buon senso e della tradizione. E c’è anche la tristezza e la rabbia della gente comune per la perdita progressiva degli spazi liberi, collettivi, degli itinerari della memoria storica di interi paesi che, come Campagna Lupia, pur piantati sul terreno asciutto, vivono del respiro della Laguna.
Lo studio recente sull’impronta ecologica realizzato per il Settore Politiche Ambientali da un team di studiosi dell’Università di Siena, dimostra che la Laguna di Venezia oltre ad essere parte integrante del territorio provinciale, con i suoi 550 km2 di estensione, costituisce uno degli ecosistemi più produttivi al mondo. È stato stimato che essa contribuisce per un 62,8% alla capacità produttiva locale. Ovviamente l’importanza di un ecosistema così fragile e fortemente antropizzato non si limita esclusivamente alla quantificazione della sua produttività utile per l’uomo. La Laguna di Venezia esprime un valore culturale, ambientale e sociale assolutamente unico ed irripetibile.
Difendendo la Laguna e la sua naturalità difendiamo pertanto non solo il rilevante patrimonio che rappresenta, ma una delle ragioni della nostra qualità di vita, sistema ecologico indispensabile a questa parte del Veneto. La piena funzionalità naturale degli specchi lagunari non è quindi solo questione di diritto e di procedure è, molto prima e ben più consistentemente, un elemento da ripristinare in ragione del bene collettivo e delle possibilità di questo nostro modello di sviluppo distorto, possa essere ulteriormente e significativamente corretto.
Ezio Da Villa
Assessore alle Politiche Ambientali della Provincia di Venezia 2005 2009

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